NELL'OZIO DELL'INVERNO
11 marzo,
questo, non so perchè mi sembra, l'inverno più lungo che io abbia mai vissuto. 2012 che anno mai sarai? Ti vorrei mite e gentile come primavera e non rigido e algido come questo tempo che stancamente si posa sulle ossa, facendo male. Saranno gli anni, sarà il particolare stato dell'essere ma sorridere mi par quasi una utopia e quello che fino a pochi mesi fa mi rendeva gaie le ore, oggi mi appare, a pensarlo, in una luce mesta che non da né calore né letizia. O Dio fa che tutto torni ad essere osservato dai miei occhi sotto quel profilo di profetica divina bellezza primordiale. Già la bellezza la più fragile delle dee che sempre, repentinamente, scompare dal proprio orizzonte e ci lascia in compagnia di dolorosi rimpianti, facendoci incapaci di andare avanti.
Che, forse prima fingevo letizia che sbandieravo o é solo il grigiore di pioggia di neve e di vento di questo lungo momento che ha spodestato il gorgoglio gentile dell'anima? Non lo so, auspico però che tutto passi in fretta per ritrovarmi fra prati verdi a volare, fra zolle rotte, dagli elementi che detesto, a zappettare, di correre ad interrompere la sete di quelle bocche, che nell'arsura, chiedono ristoro. Già, agogno il tempo del fare forse perchè più di ogni altro m'appare vero e, con fatica e con sudore, a brulicare come ogni essere, dopo il letargo invernale, voglio ritornare. Ce la farò? Me lo chiedo. Però so bene quanto la domanda sia retorica perchè solo dalla volontà di ognuno scaturisce la forza che rompe ogni incantamento di negazione. Quindi in attesa della rinascita coltivo come fiore lei e, come seme capace di incidere la scorza più dura, mi appresto di nuovo a risorgere per tornare ad essere, baciata dal sole.
In questo rimestio di pensieri invernali forse sta l'universale sentire che, in mille forme, torna a promulgare, la sua divinità.
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