DOLCE PAESE ( LORETO A.)
Alla contrada,
laggiù, alle sponde del Tavo
un colle ardito, imponente celava
il profilo dei suoi campanili
e del castello turrito
oh dolce paese avito
tu come presepe
stupore e incanto
destavi.
Sconcerto,
il brusio e il brulicar di passi
per le antiche vie per il villanello
a cui il passeggio era negato
poiché per altro era nato.
Nel profondo blu del cielo,
pietà si rifletteva.
Dinnanzi al giorno di festa
il sogno del domani aveva
l'assioma di bue inginocchiato
ai piedi di un altare.
Smarrito,
fra la folla giuliva
uno sguardo furtivo,
attraversava il petto.
Due occhi chiari,
come bionde messi
ondeggiavano al passaggio
del vento dei focosi anni.
Paesello amato,
culla di tanti giorni garruli,
oh come le manchi.
Gli odori, i sapori, le parole
così francesizzate
dalle dominazioni passate
nel ricordo è idioma
legato alla memoria come
rumore spumeggiante di cascata.
Di te perla, fiera e signorile
di un contado fatto di brava gente
s'imbeve a garganella per avere
agognata stampella
a sostegno dei suoi restanti passi.
E... quando giungerà
li sulla collina amena
gli ulivi centenari
ed i cipressi colonnari
temerarie sentinelle
testimoni di tanti arcobaleni
sfideranno il tempo di tempesta
racchiudendola in incavo profondo
dove avrà sentore dell'abbraccio
dei perduti antenati
che l' hanno preceduta.
Per manifesta commistione,
il passo si greve diverrà,
come ombra al'imbrunire, lieve.
Foto rosa inglese: "James Galway"