martedì 24 marzo 2015

IL GIARDINO DI FAUSTO E EMMA


L' introduzione, a questo post, la faccio perché vorrei ringraziare voi che mi avete letto e ancora assiduamente mi leggete, poiché in futuro non so se avrò ancora la  forza, dopo l'accaduto, di continuare a scrivere e pertanto, mi sembrava  doveroso fare ad ognuno di voi  un saluto ed un ringraziamento particolareggiato facendovi partecipi, per quest'ultima volta,  del  piccolo spazio diletto condiviso nell'armonico sogno di un mondo ideale vissuto con rispetto, amore e dedizione assoluta, il sogno, di Fausto ed Emma, teneri, perduti  amanti, ora infranto. Lo spunto alla creazione di questo  blog l'ho avuto proprio  perché, lui, la persona a me più  cara, aveva realizzato il mio desiderio  di avere un giardino. Poi, essendo poeta, ho pensato di avvicinarmi a tanti con queste due espressioni altissime dell'anima. Spero, di essere riuscita a portare, se non altro,  almeno, una piccola ventata di purezza data da visioni idilliache e da un particolare sentire nostalgico di bellezza  esplicata in ogni cosa in ogni dove, sentire necessario al corpo e allo spirito, per vivere in armonia.
Grazie.


Tu scrigno, tu fautore di sogni.
Tu passato, tu avvenire
tu emblema di pura bellezza.
Tu mutevole, tu sorprendente.
Tu non hai voce, se non quella
del vento quando inizia
nel tuo seno, la sua danza.
Tu ricovero di nidi d'amore
e culla di fiori dal vermiglio stupore.
Tu desiderio trafitto in ogni
spina sei, assurdo dolore.
Tu veemenza che, con studiata
nonchalance offri volto nuovo
ad ogni stagione e sei, come
edera, avvinta al mio destino.
Tu, per sempre tu,
perché sei di lui, parvenza.










.

















































Foto: Felicité Parmentier



lunedì 23 marzo 2015

FERITOIE DELL'ANIMA

Accarezzami musica
e fa che  sonno
fra braccia consolatrici
porti a dimenticare
l'accaduto.
Dondola soffio divino
la culla della mente
e fa che  non ricordi,
l'intermezzo.
Archibugi  gli stanchi pensieri
che  rendono ogni attimo,
da ora e per sempre,
feritoie dell'anima.


















Rosa: Aimèe Vibert

domenica 22 marzo 2015

IL DOLORE, QUESTO SCONOSCIUTO

Il dolore, questo sconosciuto, all'invero esso ci è noto dall'attimo in cui siamo stati concepiti ma ne avvertiamo la vera dilaniante immensità, solamente quando esso assume il volto del più nefando dei fantasmi: la morte. Il dolore fisico ti attanaglia e ti prende il cervello ma, ciononostante, in qualche modo, si riesce a controllarlo o perlomeno a competere con la sua forza e voglia di sopraffare rintanandolo nei profondi meandri dell'essere  ma quando, diversamente, non ti da scampo portandosi via la cosa più preziosa che possiedi esso ti prende l'anima facendo sì che non vi sia più nulla capace di fermarlo, oscurarlo o tacitarlo. Onnipresente, accampato fra pieghe di memoria antica, martirizza l'essere sino allo sfinimento così che  al mondo non rimane una sola valida ragione in grado di farti continuare ad accettare l'esistenza. Ad uno ad uno vengono abbattuti dei o falsi credo. L'unica grande verità che ti sovrasta è l'impotenza, la nullità, il diritto dovere di non credere più in niente. Il dolore quello sconosciuto ora è divenuto il nuovo  compagno di ogni respiro però esso è privo di ossigeno  pertanto esso  è solo asfissia. Tu che del mio dolore sei effige assiepi l'atrio della mente rendendola vacua d'ogni altro pensiero. Sei sempre qui con me eppure sei lontano come una galassia quasi misconosciuta poiché preda di qualcosa che ha cambiato il tuo essere, vivo e vitale, ( più di ogni altra cosa io abbia mai conosciuto), in cosa? E solo, questo mio pensiero, vaga chimera, che mi rende men sola mentre sono a vagabondare dove sei tu amore mio?

sabato 21 marzo 2015

CARAPACE ARENATO

I desideri,
 raccoglierli vorrei,
in bocciolo di fiore
e farli divenire
pot-pourri di profumi
capace di stordire
il senno, affinché, la vita
apparisse, ancora,  sfumata
da colorati pastelli
d'antica foggia;
affinché la vita
apparisse disegnata,
da ragnatele sottili,
come quelle istoriate
su resti di conchiglia.
In valva d'ostrica,
carapace  arenato,
racchiudermi, vorrei.
per avere dinnanzi,
ad incutere paura.
solamente,
il muro del silenzio.




Foto: Magnolia Soulangeana





IL CRUCCIO

Il cruccio,
(non  la tua assenza  tu,
in altra forma, sente,
le sei accanto),
è non vederti, parlarti, sentire
il tuo respiro, come
quando accanto a lei dormivi.
Quisquilie allora non curate
ma ora ... ora cosa pagherebbe
per udire ancora la  maschia voce,
il caldo respiro,  rivedere
lo stoico, orgoglioso volto,
su cui la tua storia, in solchi
profondi,  come in romanzo  di fiaba,
si leggeva tutta di un fiato.
E in quegli occhi  malinconici,
non induceva mai, sguardo sfacciato,
per non ferire la tua ritrosia
a mostrare le ferite dell'anima.
Non debolezze ma l'eroica forza
solo mostravi. Qualsiasi nemico
era da sconfiggere, a qualsiasi costo.
Squisito Don Chisciotte
a cui, inconsciamente, ti  ispiravi. Tu hai
donato la vita senza ripensamenti
facendoli  eterni debitori  del bene
più grande,  l'essere stati compagni
di un uomo senza eguali.
Il cruccio è: essere divenuti, ora, identità
disgiunte di un diverso parallelo.              




Foto: Rosa  Albertine







































Foto: Rosa Bourbon Queen










































venerdì 20 marzo 2015

COME FOSSILE IN PIETRA

La tua bellezza da mille rughe
coperta ancor sorvola
il cielo che la contempla.
Nulla l' offusca
miriade di gemme
la compongono,
barlume d'anima
allo scoperto.
Nel tempo della memoria
come fossile in pietra
sarà stampata.




giovedì 19 marzo 2015

MA QUAL DIO...

Oh morte, tu che hai il potere
di stravolgere gli animi,
sin da portarli alla pazzia,
perché non porti via con te
la compagine rimasta inutilmente
appesa sulle rime di un tempo
che più non le appartiene.
Oh morte crudele,
oh morte, signora del nulla,
perché hai assunto l'ingrato
compito di rubare la vita?
Ti odio tu non sai quanto
non perché tu esisti ma perché
hai portato via lui e non me.
Stupida morte, voluta da chi?
Solo un essere che del divino
non ha nulla ha potuto immaginare
un simile demoniaco evento.
A chi dar la paternità
di simile oltraggiosa volontà.
Tu non puoi sapere,
tu non puoi conoscere chi per lui
ti appella e ti maledice, perché
la sua anima leggera come piuma
non si ingarbuglia nelle
trame da te ordite.
Oh morte fedifraga,
oh morte vigliacca mi hai reso
vedova del tesoro più grande,
mi hai resa impotente ed incapace di
arginare la tua cavalcata micidiale
che me l'ha strappato come neonato
al seno. Né urla né gemiti giunsero
alle tue orecchie, solo calde lacrime
a bagnare i volti innocenti di chi l'amava.
Come farò e come potranno loro
dimenticare l'affronto subito da te
morte iraconda.
Morte, morte, morte,
ma qual dio ha potuto immaginare
un simile scempio?
Lassù, in collina, sul prato
sono rinate le dilette pratoline
ma, al contrario di ieri, le noto
appena mentre la sua assenza fa
si che la mia vita, vuota di significato,
sia  d'un tratto, finita.

mercoledì 18 marzo 2015

EMOZIONI DELL'ANIMA


La sua favolosa primavera eri tu tulipano
che, come nota colorata punteggi
lo spartito, aperto e poi richiuso,
nell'eden in cui eri stato disegnato.
La sua lussureggiante filastrocca
eri tu papilionacea distesa che,
verso il cielo arranchi e lo
fraseggi di dittonghi e iati.
La sua strabiliante scoperta
eri tu setosa dama arcana
che,  voluttuose forme doni
al desiderio mai sopito e,
quegli arabescati sospiri,
emozioni dell'anima,
come squame, sul cammino,
a luccicar restano dando,
identità al suo destino.



















Foto: Rosa Laevigata


















martedì 17 marzo 2015

PER LUI

Prendi i suoi pensieri e i suoi affanni,
le sue suppliche e le sue tribolazioni,
le sue speranze e i suoi sentimenti,
le sue gioie e i suoi dolori.
Prendi i suoi  giorni e le sue  notti,
le albe e i tramonti, l'intera sua vita
e la sua morte  e rendile scintille
di gocce sublimi di splendore
come rosa ed ogni fiore
sul seno di primavera.
Fa, perlomeno questo, per lui.





Foto: M.me Isaac Pereire

lunedì 16 marzo 2015

E CHIEDE, UMILMENTE PERDONO

Per dare  alla vita un senso,
mi ritrovo a correre dietro
a briciole di tempo sparpagliate,
su costoni inaccessibili, dal vento,
Non son più io  quel che sono,
stella cadente in buco nero
o variopinta farfalla
dipinta dei tuoi colori
che svagata e gaia
trasvola altissime  cime
innevate da millenni
dove  luce sfavillante
ingloba e cosparge
di bagliori il cielo.
Non son più io austero volto
fattosi pietra tombale su ogni
luogo che ti ha visto respirare
ma, sognante pettirosso
che segue la tua ombra
e di essa si ristora.
Non son più io l'arrogante creatura
che dava margine al tuo essere
credendosi, a volte, migliore.
Quella non son più io ma,
or sono divenuta, l'umile ancella
che di un sol pensiero si sparge
e chiede, umilmente perdono.




giovedì 12 marzo 2015

PIU' DELLA VITA MI APPARTIENE LA MORTE

Più della vita m' appartiene
la morte perché in essa tu,
come modello statuario,
riposi e brilli di splendore
ed io, del tuo riflesso,
vivo e mi nutro ancora.
Più della vita m'appartiene
la morte perché la morte
é principio e sorte di ogni nato.
Più della vita m' appartiene la morte
perché pur se infida accoglie
ogni passante senza distinzione
dando valore alla più blasfema
delle cose: la morte.





















La caducità