Tu ginkgo,
che nella foggia
appari simile allo schivo
altero rifulgi al sole,
mentre l'altro,
fantasma ascoso,
in fessure di mura
di pozzi e caverne
umide e buie,
sfodera leggiadra
bellezza che nessuna
brezza, mai sfiorerà
e per esso
soltanto un raggio
di luna a testimoniare
riverbero nella notte,
del vibrante soffio di vita.
Quest'albero delle gimnosperme che la scienza fa risalire a tempi
antichissimi circa 250 milioni di anni fa, ha una resistenza infinita, a
dimostrazione, ad Hiroshima vi sono sei esemplari risorti dalle ceneri
della bomba atomica. Se mi è concesso dire una cosa su di esso,
risultanza rilevata dalla coltivazione dell' esemplare del mio giardino,
io penso che, si può coltivare solamente se lo si ama moltissimo dato
il suo incedere lento nella crescita e la snervante attesa per
vederlo giungere all'età adulta quando si trasformerà, ma a colui che
l'ha piantato non sarà concesso di assistere, in un esemplare maestoso
che va a ripagare ogni aspettativa. Questo suo modo di essere,
caratterizza anche il carattere del coltivatore, perché sicuramente,
costui, ha una ricchezza infinita di una delle virtù più rare di questi
tempi, dove il correre è un imperativo, la pazienza. Il mio ginkgo ha
circa venti anni o giù di lì e dalle immagini che vi posterò potrete
vedere quanto sia ancora lontano dalla maestà della maturità però,
ugualmente, per me che lo immagino come discendente di uno dei più
vecchi abitanti del pianeta, nonostante la lentezza nel concedersi allo
sguardo, nella veste migliore, lo considero bellissimo e prezioso e,
quando fantastico, sul futuro di questa preziosa eredità, pensandola in
mani appropriate, lo vedo stoico testimone di generazioni future che
potranno arricchire lo sguardo con la sua bellezza che col tempo si fa sempre più statuaria, specialmente nella stagione morta quando le sue
foglie , come tappeto dorato andranno a ricoprire l'area posta ai suoi
piedi facendo lieve il passo di altri, che assorti vagano, come persi in
un sogno, nei suoi pressi.
Foto: Ginkgo Biloba