Pupilla vuota d'intenti che rifletti solo abbagli di falsi dei, che pena le fai.
Lei, per causa tua, non ama i cani, non ama i gatti ed ogni altro essere che oggi viene accarezzato, coccolato, da persone incapaci di donare carezze, sorrisi o ameni trastulli ad esseri dell'ordine stesso a cui loro, appartengono.
Odia l'ipocrisia dello stare insieme quando in ogni faccia si riflette la falsità, direte, educanda in mutande in questo mondo di orrori ma, per lei, insopportabile.
Odia la giustizia che tale più non é. La sovrana, fra pensieri umani, a immondo cencio l'han ridotta. Le si accappona la pelle.
Tutto ciò che si agita dal vagito al rantolo sa di... non trova l'epiteto; o forse no, lei, a differenza della massa che la circonda non vuole dirlo per non cadere nella volgarità.
Volgarità i muri imbrattati, volgarità l'immondizia del tuo egoismo, volgarità il tuo altruismo con pensieri di ritorno, quando, calpestato, impuro, giace ai tuoi sporchi piedi.
Guarda l'orologio che segna il tempo e stringe la tua mano cara nella sua, ora quasi rattrappita: Disperata ma, con la veemenza dei suoi vent'anni perduti, si aggrappa a questo ultimo sogno.
Ma degli altri, di tutti quelli che hanno alimentato la sua vita che rimane? Fuligine che sporca il suo candore.
La sua anima inerme giace nel vuoto dell'inutilità.
Luna e sole, tormento e delizia, che indifferenti avete solcato, perché distanti, lievemente, l'alternato respiro, non avete alcun rimedio per le sue pene.
Allora sapendosi sola, salirà sulla collina delle mimose che fulgide illuminano questo suo mondo e si riflette con bagliori d'oro sul cielo d'oriente.
Salirà sulla groppa di un dromedario e nell'inimmaginabile numero di granelli di sabbia sotterrerà per i posteri, i suoi ultimi pensieri.
Al fatuo che, ameno invita, volterà le spalle.
Ode una voce che dal borgo grida. La gente di borgata aspira a quello che lei non vede e la rampogna.
Chi il Dio di giustizia?
Chi la serpe di iniquità?
L'inquieta il pensiero ma, d'altro, ancora, si oscura e lacrime come lame sottili fraseggiano nei rivoli della mente, depresse e perdenti, come partigiani traditi.
Sulle rive di un lago si ritrova a dialogare con l'onda scura che cruccia anche i soavi.
Dov'é la sua sera?
Che fa, la tradisce?
Che fa, sol la infastidisce con il suo pensiero ma non la porta con se?
Dov'è il suo mattino?
Quell'alba chiara piena di promesse e di voglie?
Dov'é la sete e la fame che sorreggono il grido del vivo?
Appassita, pesante, come un frutto maturo attende che il fato la colga.
Pensieri, pensieri, or sempre pensieri, a bussare alla porta. Lì raccoglie e li sparge come cenere al vento sul suo tormento: Ora esso, purificato, si liquefà.
Adesso sovviene altro, da presso e lontano, ora amaro, ora dolce.
Solo un libro letto, che riposa su di un ripiano della sua libreria privata, dove l'accesso é vietato, la tenta.
Di parte. Ma di quale parte se tutto,dinnanzi, la sovrasta e la schiaccia. Vittima cade. La traviata... in lontananza s'ode il canto.
Perla fra perle l'opera di un genio rischiara il momento fosco e l'orecchio si pone all'ascolto.
Di nuovo si incipria l'anima di aneliti e si esalta.
Celestiale invito al volo, parentesi che s'impone e sovrasta ogni altro rigurgito.